giovedì 10 settembre 2009

The Mist - La Nebbia



Frank Darabont, dopo le ottime trasposizioni cinematografiche di "Le ali della libertà" e di "Il miglio verde", torna per la terza volta ad attingere dall’inesauribile fantasia di Stephen King con "The Mist", tratto da un suo racconto lungo, pubblicato nel 1985 ed intitolato appunto "La nebbia", e lo fa nuovamente in modo superbo.
Il regista, di origini ungheresi, paga immediatamente il tributo al grande scrittore del Maine (sono sicuro che la Castle Rock di tanti suoi racconti sia confinante con la Cabot Cove de "La Signora in Giallo" e con la Bridgton della nostra storia), trasformando il protagonista da pittore a disegnatore di locandine cinematografiche, intento, prima che si scateni l'inferno in terra, a finire di dipingere il pistolero - cavaliere Roland, protagonista della serie "La Torre Nera", sette romanzi in più di venti anni della carriera del prolifico scrittore. Ma in quella stessa inquadratura, sullo sfondo, si nota anche qualcosa d'altro, ovvero la locandina, già completata, del film "La cosa" di John Carpenter, e su questo particolare vale la pena soffermarsi un attimo. Perché se il remake di Carpenter era una denuncia, in anni ancora cupi di Guerra Fredda, sulla facilità con cui un gruppo di uomini poteva cadere in un clima di diffidenza e di sospetto reciproco, tanto da non distinguere più gli amici dai nemici, appena qualcosa di diverso arrivava a stravolgere la routine quotidiana, "The Mist", in questi anni dove le guerre fredde o calde non mancano di certo, si spinge oltre con il suo pessimismo infinito sull'animo umano e sulla fragilità dei legami sociali, quando un gruppo di persone, concittadini che si conoscono da sempre, apparentemente normali come tutti noi, si trova costretto a barricarsi in un supermercato mentre, fuori, una nebbia fitta e gonfia di mostri non sembra più dare possibilità di salvezza.
Una salvezza che è soprattutto interiore, dell'anima di ognuno di noi, che si scopre essere meschina ed egoista nel riconoscere negli altri solo una fonte di problemi o una possibilità di affermazione del proprio potere. In alcuni momenti del film si ha così l'impressione che le creature orribili, fuori dalla sottile vetrata, stiano solo a guardare, spettatori, come noi del resto, di un gioco al massacro e di una trasformazione sociale che porta delle donne e degli uomini, razionali e maturi nelle loro vite normali e senza scosse, a divenire veri e propri mostri, forse peggiori di quelli fuori, assetati di sangue e potere. La nebbia del sospetto e della paura, nei confronti del diverso e del vicino, porta solo ad una inestricabile confusione mentale, a false supposizioni e quindi a scelte sbagliate, questa è la triste e crudele morale del film, o meglio del suo regista. Come viene chiaramente mostrato nel finale, agghiacciante e così profondamente nero rispetto al pur minimo spiraglio di speranza che invece ci concedeva lo scrittore americano.
Tempi diversi, certo, ma non per questo migliori.
T.

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